KUMITE: crisi o resurrezione?
Eventskarate 2007
di Bruno Jeschki
E’ indiscutibile il fatto che il kumite italiano stia attraversando un periodo di crisi. Ad ogni gara aumentano gli atleti che aderiscono al kata mentre, specie nel nord, diminuiscono gli iscritti al kumite. Varie le cause di questi scompensi: tendenzialmente viene privilegiato il kata in quanto meno pericoloso anche se altrettanto impegnativo, ma un ruolo importante è rappresentato dalla carenza di tecnici qualificati nel kumite cui corrisponde la rogressiva mancanza di atleti disposti a sostenere la durezza di combattimenti nei quali i colpi dovrebbero essere controllati, anche se spesso, per inettitudine di certi ufficiali di gara, questo non avviene.
Le cause della flessione del combattimento agonistico vengono da lontano e vanno divise in parti eguali: da un lato la snaturalizzazione dell’ippon, molto diverso da quello di un tempo, dall’altro la diminuzione o addirittura la scomparsa di tecniche varie e spettacolari nel sanbon. Esaminiamo assieme quelli che potrebbero essere possibili rimedi.
Partiamo dall’ippon premettendo subito che non intendiamo discutere o contestare in questo articolo le teorie predicate dal M°Nishiyama, sarebbe inutile ed offensivo nei confronti di chi le ritiene valide. Per quieto vivere ci limitiamo ad affermare che possono anche essere efficaci, se messe in atto nell’ambito di un contesto nel quale tutti pratichino la stessa cosa e nient’altro che quella.
Se però opponessimo virtualmente un grande del passato – un nome a caso:
Bruno De Michelis – ad un grande della presente era-Nishiyama, otterremmo un effetto disastroso per i campioni attuali.
Non è un parere personale ma opinione diffusa: ad una recente gara “open” abbiamo incontrato alcuni eminenti combattenti di un tempo e tutti si sono trovati concordi nell’affermare che oggi l’ippon praticato dagli iper tradizionalisti non è paragonabile, in senso negativo, a quello di un tempo.
Passiamo ora a paragonare l’ippon di un tempo, giudicato vincente rispetto a quello attuale, con il sanbon. Sulle colonne di Samurai Carlo Henke ha effettuato una disamina realistica, anch’essa suffragata dall’opinione generale.
Non c’è storia, in competizione ma anche nel combattimento reale, tra le due specializzazioni.
La miglior definizione viene da un grande del karate agonistico che ha chiesto di mantenere l’anonimato: “…è come un duello tra uno armato di archibugio e l’altro di kalachnikov”.
Fatte queste premesse vediamo se esiste una qualsivoglia soluzione volta a sovvertire o contenere quella che si preannuncia come la fine agonistica del shobu ippon, anche se l’impresa non si presenta facile. Chi pratica ippon a livelli mondiali lo fa oggi in modo decisamente diverso rispetto ai parametri che oggi vengono giudicati importanti da molti “tradizionalisti” italiani. La mobilità è aumentata, i rapporti spazio-tempo sono più curati. Occorre accettare quelli che si presentano come indiscutibili miglioramenti richiamando nel contempo l’attenzione dei praticanti sul mantenimento di un gesto tecnico limpido e preciso a supporto di uno spirito ed un’educazione eminentemente marziale. Le fasi finali dei campionati del mondo di kumite ippon nella Wuko sono state altamente spettacolari ed hanno richiamato, per emozioni e tensione nervosa, le grandi finali degli anni settanta. Purtroppo a questo dato reale non corrispondono riscontri positivi in molte organizzazioni storicamente impostate a questo tipo di combattimento. A nostro giudizio, se l’ippon accetterà e metterà in pratica quei cambiamenti minimi che caratterizzano ogni gesto agonistico, avrà un futuro. In caso contrario scomparirà il giorno che scompariranno gli ultimi grandi maestri che non hanno voluto accettare la naturale evoluzione di una disciplina.
Passiamo al sanbon che, negli ultimi anni è sensibilmente regredito nel campo della gestualità tecnica. Vengono premiati colpetti che con la tecnica vera hanno ben poco a spartire. Causa principale lo scadimento tecnico dei maestri che trovano più facile rifugiarsi nell’alibi del “gyakuzuki” quale colpo più premiato dagli arbitri, mascherando in tal modo la propria insipienza. I tempi nei quali l’ottimo Geronimo,
spagnolo di Tenerife, vinse un incontro agli europei con un perfetto e controllato yoko tobi geri in volo sono lontani ma anche semplici proiezioni e combinazioni di gamba sembrano dimenticate. Ai mondiali Wuko disputati in Brasile e in Spagna abbiamo assistito ad un ritorno della spettacolarità abbinata a precisione tecnica, ma in Italia i dati non sono altrettanto confortanti. Vero è che la Wkf, con le nuove regole, ha compiuto un considerevole sforzo sulla via di una possibile promozione della spettacolarità ma anche nella Fijlkam gli atleti tendono a rifugiarsi in pochi colpi considerati sicuri in quanto di basso rischio.
Riteniamo che se il karate vuole tornare a sperare non solo in un futuro olimpico ma anche in una promozione globale, occorrerebbe fare un deciso passo indietro e migliorare il gesto tecnico di base abbinando allo stesso combinazioni che diano al pubblico la misura della reale spettacolarità ed efficacia del karate: non è un’opinione, è un dato di fatto che si scontra purtroppo con interessi di politica sportiva, leggi medaglie, o semplici convenienze di bottega date dalla mancanza di buoni tecnici.
Oggi in alcune organizzazioni vengono tenuti in vita due regolamenti distinti che rappresentano due ideologie diverse: ippon e sanbon, tradizionale e sportivo. E’ un dato che, per certi versi, è positivo: nelle federazioni che hanno adottato questa risoluzione ognuno può praticare il karate che preferisce, soprattutto quello che crede di saper fare. Il risvolto negativo è che entrambe le specializzazioni vengono esasperate al punto da snaturare la disciplina del karate dalle sue forme ottimali. Non per niente la Fesik ha recentemente abolito i termini “sportivo” e “tradizionale” sostituendoli con “sanbon” e “ippon”: un tentativo sulla strada della promozione tecnica mantenendo la separazione dei regolamenti.
Una soluzione globale può divenire reale solo attraverso una serie di sacrifici comuni. La presa d’atto dei tradizionalisti che il sanbon è nettamente superiore all’ippon se praticato attraverso una gestualità tecnica corretta. L’ammissione da parte dei praticanti il sanbon che senza una corretta base tecnica il combattimento diventa una rissa paragonabile a mediocri incontri di full contact.
Raggiunto questo risultato nulla vieta di proseguire su una sola strada con programmi d’esame comuni e regolamenti di gara diversi che mantengano il traguardo da raggiungere ad uno o tre ippon complessivi: gli atleti potrebbero liberamente scegliere se preferiscono una gara nella quale conta di più la concentrazione marziale o la fantasia unita a preparazione fisico-tattica.
Utopie, chimere, illusioni? Può darsi. Se c’è qualcuno che ha proposte migliori si faccia avanti.