Giovanni Malagisi

Senza nulla togliere agli atleti, non certo colpevoli del contesto politico-sportivo italiano, assistiamo da anni ad uno spettacolo paradossale. I “dilettanti di stato” – professionisti, a spese dei contribuenti, gareggiano e vincono contro ragazzi, veri dilettanti, novizi, amatori. Il solito lavaggio del cervello, fà si che siano contenti vinti e vincitori. Si accetta “sportivamente”, qualcosa che “sportivo” non è. Sembra di stare alle olimpiadi, all’epoca dell’ URSS. Può far bene, tutto questo, a boxe (dilettantistica e professionistica), judo, karate, taekwondo, lotta ed a tutte le discipline da combattimento? (Mi limito a queste). Sull’argomento, voci autorevoli, del giornalismo e dello sport, si stanno levando. Le palestre sopravvivono con i turni di bambini, difesa personale, amatori “maturi” non agonisti, turni di “sound”, ecc… (Per fortuna sopravvivono le arti marziali giapponesi, come judo, karate, aikido, jujiutsu,ecc. praticate nelle forme “tradizionali”. Ma questa è un’altra storia…)

I bambini ad una certa età abbandonano. Nelle palestre si è creato un “buco generazionale”. Proprio in quelle fasce, sopratutto junior-senior, dove, un tempo, si avevano i migliori risultati. Il fenomeno va allargandosi. Il professionismo, nella boxe, non riempie più palazzetti, nè spazi televisivi. “Non ci sono più i campioni di una volta”! Certo… Adesso abbiamo i dilettanti a vita, retribuiti dallo stato, cioè dal contribuente. Più in generale, negli sport da combattimento, credo si stia avvicinando il giorno in cui i dilettanti di stato, dei gruppi militari, dovranno gareggiare solamente tra loro. La cosa triste è che il contribuente, che paga tutto questo, è spesso contento di portare i propri figli a “prenderle” dai professionisti, a fare da vittima sacrificale,  prima di abbandonare inevitabilmente l’attività. I contribuenti italiani possono essere così distratti? Non ci si può lamentare se in molte discipline da combattimento, si assiste ad un pluralismo di sigle federali o di enti di promozione sportiva. Al momento, è l’unica risposta possibile. I praticanti sportivi hanno il diritto di potersi confrontare ad “armi pari”, con agonisti di livello ed esperienza, più o meno equivalente. Urge l’ intervento del legislatore per disciplinare la linea di demarcazione fra dilettantismo e professionismo. Non ha importanza una “medaglietta” in più. Per badare al medagliere,  non ci divertiamo più e piangiamo la scomparsa di spettacoli indimenticabili e forse irripetibili.

Categories:

Tags: