di Spirito Budo – Giuliano Delle Monache
L’intervista al Maestro Maltoni è stata realizzata da Federica Achilli e pubblicata diversi anni fa su “Samurai”
Il karate mi ha cambiato
Intervista al maestro Antonio Maltoni, cintura nera settimo dan Fikta dal 2005 e caposcuola della scuola Shotokai Italia.
“Sono convinto che il karate sia una disciplina da insegnare fin dalle scuole dell’obbligo”
di Federica Achilli
CESENA
“Al karate sono arrivato da sbandato, da ragazzo di strada.
Praticarlo mi ha dato precisione, ordine e dinamica. Ora mi muovo meglio, sono più tranquillo e da allora sono cambiato”.
Inizia così l’approccio al karate del maestro Antonio Maltoni, classe 1941 che a 14 anni si innamora della boxe nella palestra Campostrino di Forlì.
“E c’erano i grandi campioni locali: Milandri campione italiano dei pesi medi e Bernardini, un grande professionista. Comincio ad allenarmi con passione, ma a 18 anni devo decidere. Il maestro Boari mi dice che le mie mani fanno male, ma io sento anche quello che fanno gli altri. Conclusione: i pugni fanno male, le ragazze hanno splendidi sorrisi.. una scelta obbligata”.
Ma a 25 anni, tra il 1961 e il 1962, un grave incidente lo tiene costretto in un letto di ospedale per più di sei mesi: “Esco invalido con un tutore fisso alla gamba sinistra.
“Un incidente mi rende stanco: un amico d’infanzia, il maestro Vero Freschi, mi parla del karate: karate uguale arte.
Il karate è un crescendo di interessi fino all’amore di una vita.
A giugno sono in palestra con Vero per recuperare un barlume di tono (sono meno 50 chili) e mi alleno con e maestri Freschi poi con i maestri Campolmi e Romani.
Nell’aprile dell’anno successivo, a Firenze, conseguo il primo passaggio di cintura. Questo preambolo perché ognuno di noi si porta dentro il proprio vissuto.
Cambiare è stato difficilissimo, tutti i valori della mia infanzia sono stati cancellati, sono stati dannosi nel momento di sbandamento.
La millimetrica precisione delle tecniche di base del karate mette ordine nella mia vita.
Dinamismo, respirazione e tecniche creano, insieme, un tutto armonico nel quale il mio continuo nervosismo si placa.
Nell’allenamento mi conosco, sento che del mio corpo posso fidarmi, conosco i miei limiti e cerco di superarli.
Ogni giorno, ogni incontro, ogni persona che si allena vicino a me si allena con me; imparo ad avvertire la presenza del mio prossimo.
Riesco a percepirlo vicino a me senza vederlo, ad avvertire la sua determinazione senza che un minimo movimento tradisca le sue intenzioni; a stabilire un contatto con il prossimo che va al di là delle parole o dei gesti”.
Ma facciamo un passo indietro. “Il 17 dicembre del 1969 – prosegue il maestro Maltoni – sono a Roma in finale di gara nazionale Fik.
Divento cintura nera agonista e questa è l’unica data che ricordo, un po’ per il risultato ed un po’ per i lividi.
Siamo all’aprile 1972: dopo quattro mesi di corso non continuativo conseguo la qualifica di maestro.
Sono già 2° dan agonista.
Poi un’altra data storica, il maggio del 1977, al Pala Eur di Roma con lo stage nazionale Fik.
Il maestro e avvocato Augusto Ceracchini, presidente Fik e Filpj, mi incarica di contattare, per averlo come tecnico conduttore, il maestro Murakami. Sul palco della presentazione siamo: il maestro Tetsuji Murakami, i maestri Campolmi, Freschi, Io e Mikuria per il Goju-ryu. Dopo la morte del presidente Ceracchini la Fik viene diretta da Matteo Pellicone.
Il mio gruppo decide di proseguire il cammino assieme alla Fesika del maestro Hiroshi Shirai.
E da allora, dopo tanti decenni, siamo ancora qui nella Fikta.
Nell’ultimo anno di vita del maestro Murakami, per mia scelta soggettiva, decido di abbandonare l’agonismo lasciando comunque un bel ricordo.
Il CSC Cesena ha nel suo palmares un campionato nazionale a squadre, 4 campionati nazionali di categoria e un campionato nazionale senior open senior”.
Una riflessione a voce alta.
“Certamente il mio percorso, come tecnico, è stato molto più redditizio del mio percorso come agonista.
Come tecnico inizio ad insegnare sotto la responsabilità del maestro Freschi nel 1964, anno in cui si aprono corsi a Rimini e Ravenna.
In pochi anni apro a Cesena, Rimini, San Marino, Riccione, Galeata.
Da Modena vengo invitato in una palestra avviatissima a condurre corsi.
Da quel primo nucleo nascono palestre a Mirandola, Vignola, Cento, Fontanellato, Parma.
Nel 1987, alla morte del maestro Murakami, assieme ai maestri Campolmi e Freschi diamo vita, in una storica assemblea costituente a Sportilia, alla SSI (Scuola Shotokai Italia), con lo scopo mai abbandonato di continuare nello studio, e nel portare avanti quanto appreso dal maestro.
Ora sono spesso all’estero dove mi incontro con i vecchi allievi del maestro per mantenere in vita quello che è il nostro bagaglio ed i nostri ricordi”.
Si torna di nuovo a parlare degli anni ’70. “In quel periodo il maestro Murakami, dopo diversi incontri con il maestro Sigeru Egami, matura e completa una svolta tecnica che lo porta ad abbracciare lo stile Shotokai.
Per noi, vecchi allievi il nuovo e particolarmente difficile ed impegnativo, ma è così.
Dopo alcuni anni il maestro Murakami organizza un primo viaggio in Giappone per incontrare il maestro Egami (non posso essere presente).
Quando tutta l’organizzazione europea e africana dei maestri ha metabolizzato il cambiamento, arrivano in Europa i maestri Egami e Miamoto, quest’ultimo segretario dello Shotokai.
A Coverciano, in una giornata di allenamento memorabile incontriamo Egami.
Come ho già detto il 1977 è il nostro anno d’oro.
Purtroppo, nel gennaio 1987 il maestro Murakami muore e la nostra organizzazione non era preparata ad un avvenimento così drammatico.
Ho fatto tanta strada in tanti anni, i miei progressi hanno un padre, che mi ha guidato nella formazione, prima tecnica e poi, soprattutto e conseguentemente, morale: il maestro Tetsuji Murakami.
Ho respirato, nel tempo, la sua forza, la sua sicurezza, la sua decisione e soprattutto la sua onestà.
Non ho mai cercato di imitarlo ma mi sono sempre impegnato per capirlo.
Oggi penso di aver capito tanto di lui, non tutto, ma è proprio per questo che amo ancora il mio lavoro.
Avrei voluto parlare della storia del nostro karate, ma la storia è il frutto dell’agire delle persone, è quindi pervasa da quell’insieme di esseri che consumano la loro vita giorno per giorno lasciando sempre qualcosa a qualcuno che poi verrà. La storia è, in definitiva, la storia delle persone singole che si interseca, in ogni momento, con il vissuto di tutti.
Quindi ogni percorso è importante perché, per quanto possa essere banale, è comunque unico ed irripetibile”.
Siamo nel 2000 quando il maestro Maltoni decide di contattare e raggiungere lo
Iu Ten Kai, sodalizio creato dai diretti allievi del maestro Egami.
“Partiamo in 20 per approfondire il contatto.
Dopo due settimane rientriamo con l’accordo di avere in Italia almeno avere tre tecnici per un incontro biennale: tale accordo proseguirà fino al 2010.
Nei dieci anni successivi altre due volte andiamo noi in Giappone e durante la seconda, in una manifestazione nazionale organizzata dallo Iu Ten Kai presso università di Bambu Tokio, ricevo l’onore di condurre un allenamento collegiale presenti tutti i maestri e molti allievi dello Iu Ten Kai.
Dal 2010 in poi abbiamo dato vita ad un sodalizio fra i maestri anziani europei per incontrarci e proseguire nello studio del maestro a cui continuiamo a riferirci”.
E arriviamo ai giorni nostri. “Ogni nostro percorso è quindi straordinario, ed è frutto del nostro impegno e delle nostre scelte che scaturiscono dalle nostre conoscenze.
Tempo addietro agli allievi insegnavo tecniche attraverso la conoscenza di disponibilità, velocità, elasticità, vigore, coraggio, precisione, sicurezza perché sentivo che era quello di cui avevano bisogno.
Ma nelle mie lezioni portavo con me tutto il mio vissuto, le mie aspirazioni e le mie priorità.
Oggi ho capito che le mie priorità non sono quelle dei giovani d’oggi.
Quello che per noi era un sogno per loro è banale quotidianità.
Però la conoscenza della tecnica mette ancora ordine nella vita di ognuno, la confidenza col proprio corpo dà ancora sicurezza in se stessi, il rispetto degli altri (tutti) fa si che si impari anche il rispetto di se stessi.
Ma nei giovani vedo la mancanza di obbiettivi e se nella vita non hai obiettivi alla fine non hai niente in mano.
E il karate a me ha dato e continua a dare cose grandissime: mentalità, ordine, cervello.
Si ottiene qualcosa nella propria vita se si fa qualcosa.
Ai giovani, però, non bisogna dare tutto: oggi vogliono risultati immediati e facili appena iniziano a praticare, ma per loro tutto ciò è diseducativo.
Ora pensano solo allo sballo, al divertimento, all’uscire la sera e fare tardi con le ragazze.
Ma il karate è ordine e disciplina. E la gente deve imparare che bisogna conoscersi e capirsi, non bruciare le tappe come fanno i giovani al giorno d’oggi.
Ma sono convinto che il karate sia una disciplina da insegnare fin dalle scuole dell’obbligo “.
E alla fine il maestro Maltoni si rivolge ai lettori. “Sapete: quasi quasi mi prendo sul serio e continuo ad insegnare a chi ha bisogno che qualcuno lo accompagni (come è successo a me) discretamente, in un percorso che tenda a far emergere le sue qualità. Forse la mia infanzia, così lontana dall’oggi e privata di tutto ciò che oggi abbonda, aveva quella carica di umanità che oggi manca e che forse è ciò che i ragazzi cercano con maggiore interesse. Spero proprio sia così..