Perché praticare i kata
NEW EVENTS KARATE 2004
di Mario Lombardi
Per rispondere a questa domanda si deve comprendere cosa significhi il termine kata. Spesso, nella mia attività di Zengi (maestro Zen), mi è stato chiesto se sia vera la presunta segretezza dei kata, se realmente contengono un carattere esoterico. Quando, a mia volta, lo chiesi al mio Zengi, mi fu risposto con un aneddoto ripreso dai Vangeli: alcuni figli chiesero al padre morente dove fosse il tesoro promesso loro in eredità.
Il padre affermò che era sotterrato nel podere di casa. I figli iniziarono a dissotterrare il campo per trovare questo tesoro; non trovatolo abbandonarono il terreno: ma oramai il terreno era stato lavorato. Il vento portò dei semi nel campo che diede frutti.
L’anno dopo il campo fu ricoperto di piante e fiori. Il campo stesso era il tesoro. “Esoterico” ha un significato di misterioso, con un’accezione negativa che non trova alcun fondamento nella tradizione dei kata. E’ vero che venivano praticate in epoche passate come forma di ginnastica o di danza per mascherare gli allenamenti di karate quando questo era proibito: possiamo ricordare che in quel periodo nacque l’uso di utilizzare come armi attrezzi agricoli, il tanto, il nunchaku, ect. Così in un kata, una parata non è sempre parata, un attacco non sarà sempre un attacco.
Ad esempio nei kata Wa d o r y u , Otsuka ha sempre voluto che ogni tecnica fosse vista come un attacco, anche per una questione psicologica: non si deve tornare indietro, ma sempre guardare in avanti. Sempre Otsuka ha lasciato i kata, come dire, “aperti” proprio perché i maestri potessero “chiudere” i kata secondo le proprie capacità. Il kata può essere rappresentato da due proverbi cinesi. 1) il primo ha dato il titolo ad un film vincitore di alcuni premi oscar: La Tigre ed il Dragone, il cui significato è “nulla è come sembra” (nel film, la ragazza inesperta non era inesperta, il vecchio non era vecchio, la serva non era la serva, il monaco non era solo un monaco, ect.). 2) Cavalca la tigre: quando sei sopra la tigre forse non ti conviene scendere o domandarti se sia conveniente scendere o continuare a cavalcare; oramai conviene cavalcare. Ora passiamo all’origine del kata. Il riconosciuto fondatore delle Arti Marziali, Boddhidarma, fu invitato a recarsi presso i monasteri Shao Lin presso i monti del Tibet ad insegnare la propria A r t e della Meditazione, Dhayna, che diventerà lo Zen praticato ancora oggi. I monaci passavano sei ore, immobili, nella posizione “Ren ge za” (fiore di loto). La lunga permanenza in questa posizione comportava problemi muscolari e Boddhidarma per curare e prevenire questi problemi insegnò loro una primitiva Arte della guerra da lui praticata in India. Questa Arte Marziale era praticata a vuoto senza contatto con un avversario. Allora i monaci Shao Lin risposero con delle “forme” riprese dalla loro conoscenza del Tao. Questo non è una divinità, non è un Essere spirituale, ma un principio unificatore che compendia gli opposti principi; la natura è guidata da due principi opposti, lo Yin e lo Yang (ad esempio, la luna ed il sole, l’uomo e la donna, il freddo ed il caldo, etc.). L’equilibrio non è dato dal seguire un principio solo, ma l’insieme dei principi contrapposti, perciò una giornata è data dall’unione del giorno e della notte, ect.
Ora, cosa vi è di più in equilibrio della natura? Ogni giorno il sole sorge e tramonta; dopo il giorno viene la notte, le stelle sono sempre nel cielo ed appaiono solo nella notte, se vi è la luna non vi è il sole ed il contrario, ecc. Quindi gli orientali seguono il ciclo della natura; ed ancora, cosa vi è di più armonico della musica? Il ritmo della natura è musica. Così i monaci Shao Lin iniziarono ad eseguire dei movimenti basati sulla natura e guidati dalla musicalità dei movimenti (il ritmo); iniziarono a studiare movimenti degli animali e da questi nacquero le “forme” (non si possono ancora chiamare kata), compenetrate nei vari stili del Wushu.
Questi monaci si fronteggiavano, su guida di Boddhidarma, ognuno con la propria forma, per cui, con il proseguio della pratica, si formarono ulteriori “forme” miste e più complesse.
Ulteriore considerazione: il kata cosa significa? Il kata è una “forma mentis”, una specie di “habitus” mentale, psicologico, che investe le persone. Ogni persona possiede il proprio kata.
Rimanendo nel nostro campo, un maestro ha il proprio kata, il proprio modo di essere, così l’allievo ha il proprio kata.
Quando un allievo diviene un istruttore deve modificare il proprio kata: così l’allievo deve sottostare agli insegnamenti del sensei, ma una volta divenuto sensei deve essere lui a decidere la lezione sul tatami. Ora, è vero che può essere anacronistico praticare kata come forma di combattimento: ma se il Kata è un “habitus” può anche essere praticato per indossare quell’habitus.
Cercherò di spiegarmi con un esempio. Con il mio maestro eseguii una lezione di meditazione.
Il maestro mi diede delle induzioni proprio per rispondermi a questa domanda (nello Zen il maestro non risponde mai, ma guida l’allievo alla risposta): mi fece immaginare una scena. Ero circondato da alcuni nemici, non potevo rinunciare al combattimento perché ero vicino ad un burrone. Avevo paura della morte?
Potevo rinunciarvi? Non dipendeva da me. Dovevo combattere; dovevo allontanare la paura della morte. Potevo solo accettare l’idea della morte per allontanarne l’idea.
Con la morte poteva finire la mia vita e questo non si può accettare. Si può morire ma non perdere la vita: ad esempio il Maestro Mario Morelli è morto ma non ha perso la vita: è vivo nei nostri cuori, nei nostri ricordi, nel suo insegnamento del Karate e forse solo in ultimo nei suoi scritti.
Così io non potevo perdere la vita. Allora il mio Zengi mi chiese di riempirmi del Ki dell’Universo e di porlo dentro di me: effettuai una grande respirazione per pormi in contatto con il Ki dell’Universo; le mie braccia si allargarono come per abbracciare più Ki possibile, dopo di che le mani si unirono e passarono dinanzi al tanden, come per riempirmi di quel Ki. Ora ero un tutt’uno con l’Universo e non avevo paura della morte perché non avrei perso la vita. Ora mi dovevo domandare se i miei nemici non avessero anche loro paura della morte.
Sicuramente sarei caduto nel burrone, ma quanti nemici mi avrebbero seguito? Alla fine della sessione di meditazione il mio maestro mi disse: hai eseguito il kata Neianchi nella sua forma meditativa. Ecco a cosa serve praticare Kata. Per chi fosse interessato, il sito della “Scuola di Meditazione” su cui si possono trovare notizie sulla Meditazione Zen è: www. zendoishi. it. L’indirizzo email per contattare il maestro è: medita@livee.it