C’è pugno e pugno

Eventskarate 13 gennaio 2020

Bruno Ballardini‎ a Karate Antico

 Una delle differenze più grandi fra il karate antico di Okinawa nelle sue varie scuole e il karate moderno è nel pugno.

Tutto il karate moderno si è ridotto a tirare pugni in un unico modo. Nel karate antico di Okinawa si usano abitualmente almeno quattro modi di portare il pugno che sono totalmente sconosciuti ai giapponesi e quindi anche ai loro allievi occidentali. Modi diversi per:

  • come si utilizza la catena cinetica,
  • come si trasmette l’onda d’urto al momento dell’impatto,
  • le traiettorie utilizzate,
  • gli obiettivi diversi di rompere ossa, oppure “stirare” i nervi interni, o colpire dei punti vitali.

Sono tecniche totalmente ignorate da chi fa karate giapponese e sportivo, per il semplice fatto che non conoscendone l’esistenza e l’uso non vengono nemmeno allenate. Col risultato che oggi il pugno del karate è diventato un unico gesto standardizzato, stilizzato, praticamente identico in tutte le scuole, e perfino nella boxe sportiva si utilizzano – realmente – molti più tipi di pugno che nel karate. Invece, nel karate antico il pugno è un intero universo con un’incredibile quantità di conoscenze da assimilare e applicare alle diverse situazioni, e ci voleva una vita per apprenderle. La semplificazione del karate moderno aveva come obiettivo quello di permettere alla massa di ottenere subito facili risultati, quando invece occorrevano (e ancora occorrono) anni per avere dei risultati nel karate antico. Abbiamo già detto che non tutto il karate di Okinawa è karate antico ed è in atto una drammatica “giapponesizzazione” (o “shotokanizzazione”), al punto che molti praticanti di stili moderni giapponesi vedendo praticanti di karate di Okinawa oggi dicono: «E qual è la differenza? Sì, i kata sono un po’ diversi, ma tiriamo pugni nello stesso modo!» Ecco la chiave per capire: quando vedete una scuola di karate di Okinawa che tira i pugni in un modo uguale a quello con cui si tirano nello Shotokan, nel Wado Ryu, nello Shito Ryu, e perfino nel Goju Ryu giapponese, siete davanti ad uno stile di Okinawa giapponesizzato se non novecentesco. Invece, il modo (anzi, i modi) di tirare pugni nel karate antico sono identici a quelli cinesi, e per meglio comprendere e tener freschi i principi tutti quelli che praticano karate antico sanno che è necessario confrontarsi continuamente con i principi delle arti marziali cinesi e studiare, studiare, studiare. Perfino chi praticao uno stile di Okinawa novecentesco è costretto a farlo. Le uniche scuole di karate antico oggi sopravvissute che preservano questi principi antichi e l’eredità vera del passato sono:

  • Kojo Ryu
  • Ahnan Tomari-te
  • Mastumura Seito Shorin Ryu
  • RyuKyu Kempo di Oyata

Purtroppo queste scuole non sono per tutti e mantengono ancora una certa chiusura verso chiunque si avvicini solo per curiosare ma senza una vera motivazione a ricominciare a studiare daccapo e a preservare quelle preziose eredità. Noi dello Zentokukai abbiamo la fortuna di poter accedervi per la profonda amicizia che lega i nostri Sensei con i capiscuola di queste quattro nobili scuole. Ecco perché il nostro simbolo è un “cancello”.

 

Per meglio comprendere ciò di cui stiamo parlando, pubblico la mia prefazione ad una raccolta di classici cinesi sul modo di portare il pugno, che contengono principi conservati ancora perfettamente nel karate antico. È con orgoglio che, con la collana “Karate Antico” da me diretta per le Edizioni Mediterranee, abbiamo potuto pubblicare la prima traduzione ufficiale di testi cinesi originali importantissimi per le arti del pugno. E per una volta l’abbiamo fatto dall’Italia, senza dover rimaneggiare le solite traduzioni inglesi che non ci permettono di controllare i testi originali. Mi auguro che nasca una nuova generazione di studiosi italiani che mettano mano ai testi originali andandoli a tirar fuori dai musei e dalle collezioni e ci restituiscano traduzioni di ottimo livello, come qui ha fatto Amanda Carloni, sinologa ed esperta di discipline cinesi.
Un solo consiglio: se credete che basti leggere un libro per imparare queste cose, magari tentando di applicare questi principi al pugno dello Shotokan o del Wado Ryu, state freschi. Se volete andare avanti non avete alternative: cercate di iniziare al più presto la pratica del karate antico. Gli stili giapponesi che avete imparato sono soltanto l’ABC. Avete appena imparato a fare le asticciole ma non sapete ancora leggere: dovete imparare a scrivere e andare all’università.

Nella scarsa e lacunosa bibliografia delle arti marziali, è sempre un grande avvenimento la pubblicazione di testi inediti tradotti dagli originali. Sono queste le fonti che portano nuova luce sulle tecniche, sui principi e sull’evoluzione delle discipline fino ai giorni nostri. Ciò vale in particolar modo per i sistemi di combattimento a mani nude praticati segretamente fino ai primi del 1900 a Okinawa. Sappiamo che questi sistemi furono codificati localmente sulla base di influenze cinesi, ma ciò che manca ancora è l’anello di congiunzione con esse, la chiave per comprendere il lavoro interno che questi sistemi nascondono.

Finora, l’unico ponte fra il Chuan fa, l’arte del pugilato cinese antico, e il Tode, ovvero il karate antico di Okinawa, è costituito da un testo arrivato dalla Cina nell’arcipelago di Ryukyu probabilmente già nel 1600: il Bubishi. Questo trattato, tenuto in religiosa venerazione perfino dai padri fondatori del karate moderno, risulta piuttosto ermetico per i suoi riferimenti alla medicina tradizionale cinese e sembra dare per scontate le nozioni necessarie per l’applicazione dell’energia interna nell’esecuzione delle tecniche, omettendole.

Se ciò sembra ostacolare più che favorire il progresso della conoscenza in questo campo, bisogna anche considerare che si è dovuto attendere la metà degli anni Novanta per avere la prima traduzione in inglese di quel testo,[1] e si può ben comprendere come in Occidente, dal dopoguerra ad oggi, generazioni e generazioni di karateka abbiano praticato l’Arte ignorando totalmente i suoi principi e il suo vero significato tecnico.

La distruzione di libri e manoscritti sul karate ancora custoditi a Okinawa, a seguito dei bombardamenti americani nell’aprile del 1945, ha fatto disperdere definitivamente tutte le conoscenze fino allora rimaste. Viceversa, sono pochi i testi dell’antico Chuan fa cinese sopravvissuti alla furia distruttiva della rivoluzione maoista e, come se non bastasse, l’ostacolo più insormontabile che si trovano ad affrontare oggi gli studiosi del panorama marziale cinese è costituito dall’impenetrabilità di un corpus di conoscenze spesso esoteriche tramandate oralmente a livello familiare, e condensate in esercizi formali (taolu, ovvero kata) concepiti per occultare agli occhi degli estranei il vero significato delle tecniche.

Possiamo considerare questi esercizi come gli unici veri testi di cui disponiamo, ma che non siamo ancora in grado di leggere. Oppure, come delle vere e proprie “capsule del tempo”, che però non siamo ancora in grado di aprire. Non sappiamo come questi misteriosi contenitori abbiano consentito di veicolare per secoli un enorme patrimonio di tecniche, allo stesso tempo occultandole, ma la cosa più misteriosa è come abbiano potuto garantire, nella trasmissione di conoscenza, sia la diversità sia la stabilità culturale. Di quest’ultimo aspetto – prettamente metodologico – stanno cominciando a interessarsi i cognitivisti con una nuova fertilissima teoria sulla modularità nei micro processi della trasmissione culturale che garantirebbe nel tempo la stabilità di modelli condivisi, nonostante le variazioni che questi modelli possano subire. A questo approccio, potrà aggiungersi il metodo comparativo dell’antropologia culturale e finalmente gli studi sulle nostre discipline arriveranno ad avere dignità scientifica.

pstyle=”text-align: justify;”>L’antologia che avete in mano è particolarmente preziosa: raccoglie alcuni trattati rarissimi, mai tradotti prima in lingua occidentale, che illuminano sull’uso dell’energia interna nell’esecuzione delle tecniche. Gli insegnanti e gli studiosi potranno senz’altro rinvenirvi spunti indispensabili per arrivare a comprendere a fondo l’antica “arte del Pugno”.</p>
<p style="text-align: justify;">Un particolare “ingraziamento va alla curatrice del volume, Amanda Carloni, sinologa e insegnante di stili cinesi, appartenente alla nuova generazione di ricercatori-praticanti che sta nascendo oggi, capaci di tradurre i testi antichi nel modo più fedele, ben conoscendo le discipline dall’interno.

 [1] Ad opera dell’esperto e ricercatore del karate antico Patrick McCarthy (trad. it. Bubishi. La Bibbia del karate, Edizioni Mediterranee).

 

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