Karate tradizionale o sport da combattimento?
Eventskarate 25novembre 2020
Maurizio Orfei
In molti ritengono che siano due attività differenti e da un punto di vista tecnico lo sono, ovviamente.
Non voglio entrare nel merito tecnico ma parlare delle motivazioni che spingono una persona verso uno sport da contatto e includo, anche per conoscenza personale, rugby e american football.
In altre sedi ho analizzato il rapporto antropologico che ha determinato la costituzione dei gruppi armati che continuano ad esistere anche in assenza di conflitto ma faccio un brevissimo riassunto che mi servirà anche da premessa.
La difesa di valori sociali, territorio, femmine, alimentazione prima e potere dopo, è stata fatta attraverso la violenza indirizzata verso coloro che minacciavano questi beni comuni.
Sono stati i cacciatori che si sono trasformati in guerrieri, anzi probabilmente questa è solo una differenza fittizia se consideriamo le forme più primordiali di cannibalismo.
Sta di fatto che con il progredire della società intesa come consolidamento di un gruppo omogeneo, è sorta la necessità di mantenere vigile l’attenzione nei confronti dei possibili aggressori e avere lo strumento per aggredire. I cacciatori che si erano distinti e soprattutto erano sopravvissuti, diventano il nucleo armato sempre pronto ad intervenire e nasce la necessità di trasmettere alle giovani reclute i segreti della sopravvivenza nel combattimento.
Ovviamente ogni maestro sopravvissuto aveva le sue soluzioni per la sopravvivenza che poteva condividere fino a un certo punto per il fatto che non era automatico che funzionassero per altri, ma da qualche parte era necessario iniziare.
In un addestramento forzato e che cerca la massima aderenza alla possibile realtà del combattimento è necessario garantire l’incolumità degli addestrati perché con i morti si fa solo la pace!
L’evoluzione di questa attività è stata la ritualizzazione, cioè renderla possibile secondo delle regole, the rules per gli anglosassoni e sono stati introdotti dei tabù, chiamiamoli cosi, come il divieto dei colpi sotto la cintura nel pugilato o il divieto di colpire il volto nel kiokushin. Il risultato è stato la modifica degli allenamenti in funzione del regolamento per fare “il punto” e tutto è diventato “sportivo”!
La differenza sostanziale rimane l’ambito di addestramento: militare vs civile.
Entrambe queste forme utilizzano lo scontro sportivo, cioè con la garanzia della salvaguardia dell’incolumità dello sconfitto, per la preparazione fisica del combattente, per formare il suo spirito aggressivo e fornirgli gli strumenti idonei per poterlo controllare.
Nell’ambito civile si può fare sport e allenamento per migliorare la propria condizione fisica e affrontare un torneo sportivo e portare a casa l’agognata medaglietta e ricominciare ad allenarsi per l’incontro successivo.
Nell’ambito militare invece l’addestramento è prepararsi a compiere la missione, rispettare le regole di ingaggio e soprattutto, portare a casa la pelle.
La differenza è tutta qui.
Il karate tradizionale è praticato secondo le reminiscenze di un addestramento militare tanto lontano nel tempo da diventare un mito. Si imparano e si ripetono gesti ritualizzati spesso apparenti a una cultura lontana che hanno il fascino dell’esotico e del misterioso, come i gesti degli antichi sciamani che scacciavano spiriti e guarivano malattie.
I kata sono la massima espressione di questa ritualizzazione nonostante gli sforzi, anche miei, di avvicinarli ad una realtà, ma rimangono gesti magici, lontani dal rapporto causalità diretta fra il gesto e il suo effetto. Inoltre i kata che dovevano essere estremamente semplici in origine come l’addestramento dei legionari romani con il rudis al palo, un palo di legno conficcato nel terreno che i soldati colpivano ripetutamente simulando la difesa con lo scudo. Col tempo si è persa questa essenzialità e sono stati aggiunti elementi estetici perdendo di vista le finalità originarie dell’addestramento perché, probabilmente, allontanato dall’ambito militare e trasferendosi in quello civile la sopravvivenza del combattente non era più la prima necessità.