Essere o non essere…

Eventskarate 22 settembre 2021

M° Aurelio Bonafede

 Noi karatega, ce le diamo o non ce le diamo?

Questo è il dilemma che corre sul web. La mia militanza è iniziata nel 1962 e come tutti quelli di quell’epoca vi posso dire con certezza che ce le davamo di santa ragione. Fortunatamente la tecnica era poco precisa e durante l’agone, per ovvi motivi, lo diventava ancora di più, quindi ci facevamo male ma non troppo. L’unica cosa di cui sono sicuro è che negli scontri casuali e non, con praticanti o non praticanti di altre discipline, noi eravamo quasi sempre micidiali e vincenti. Non lo dico io ma lo dicono i fatti, la storia che quelli della mia generazione hanno vissuto. Verso la fine degli anni 60 entrarono nella F.I.K. di allora, partecipando ai nostri tornei altre “religioni” ma vista la disparità del confronto rinunciarono e poco dopo tornarono alla loro autonomia. Gli allenamenti di quel tempo erano poco dedicati all’atletismo e molto alla resistenza, alla capacità di sopportare i colpi ricevuti, oggi si direbbe “condizionamento fisico” , il Makiwara e il corpo dei nostri compagni di allenamento erano gli attrezzi principe per allenare i nostri colpi. Le regole di gara erano simili a quelle della Kyo Kushinkai, ma noi, a differenza del loro regolamento, potevamo colpire il viso con il controllo della tecnica di pugno o di piede che veniva penalizzata se avesse procurato fuoriuscita di sangue. I colpi vietati erano gli stessi, gomiti (Hiji), ginocchio (Hiza) e mani aperte (shuto, Nukite) ma era Ippon un colpo di mano o di piede ai testicoli, che erano protetti da una conchiglia di alluminio che spesso sotto la violenza della tecnica cedeva. Quindi molti si avvicinavano al Karate e pochi restavano, gioco forza per costruire una federazione forte ci devono essere i numeri e quindi la politica iniziò ha calmierare lo scontro agonistico con regolamenti più limitanti e protezioni sempre più tecnologiche. Per fare un piccolo esempio sarebbe come togliere il KO dal pugilato e penalizzare chi lo procura, sappiamo benissimo cosa comporta il trauma del ko ma essendo lo scopo principale dello scontro dovremmo cambiare il nome dello sport in soft boxe. I maestri del passato nella convinzione che le loro tecniche fossero letali per evitare danni seri o mortali ai contendenti, decisero per il controllo delle tecniche, adducendo che il controllo non fosse limitante ma che aumentasse la capacità dell’autocontrollo e della consapevolezza del corpo. Tenendo sempre ben presente che lo scontro tra due o più contendenti come, nel nostro caso nel Kumite (combattimento), una corsa o altro, le qualità dell’individuo prevaricano enormemente le metodiche di allenamento. Quindi non è la pratica di uno stile o di un altro che si scontrano ma le qualità del momento degli individui che si confrontano, sottolineo del momento. Già ai miei tempi la tecnica era basata molto sulle qualità individuali, contava molto il fisico e la caparbietà, questo ha sempre minato il lavoro tecnico mirato, un pugno era un pugno un calcio un calcio, bastava che facesse male, non molti si preoccupavano di migliorare quello che all’atto pratico dava già un risultato discreto. Attualmente nella pratica Karate è preponderante la preparazione atletica, la velocità d’esecuzione, la tecnica va e torna velocemente, come va, come colpisce e come torna non è importante, come non è importante la postura dalla quale si effettua la tecnica. Le posture create dagli antichi maestri erano alla base dell’efficienza della tecnica eseguita, per fare un esempio, nella applicazione di una leva la cosa più importante e la posizione e la solidità del fulcro o punto di appoggio. È famosa la frase di Archimede, “datemi un punto di appoggio e con una leva solleverò il mondo”. Qualsiasi attività di movimento svolgesse il nostro corpo utilizza forze (muscoli) leve (scheletro) e fulcri (articolazioni). Quindi le posture non sono figure per apparire ma sono le fondamenta per avere la massima efficacia della tecnica. In un confronto dove non si utilizzano le posture giuste è uno scontro di calci e pugni che è molto lontano dalla Via del Karate. Gli arti quando si muovono per attaccare o difendersi hanno diverse traiettorie da poter percorrere ma poche sono quelle corrette legate alla massima efficacia. Tra un pugno di un braccio raccolto che viene lanciato e il suo bersaglio c’è un mondo troppo spesso ignorato e così per tutte le nostre tecniche. Nell’anno 95 dopo un mio stage un gruppo di già qualificati maestri e agonisti affermati che erano rimasti colpiti ed incuriositi dal mio inconsueto fare, mi vennero a trovare nel mio Dojo sito all’isola sacra, Fiumicino. Gli allenamenti di base erano 100/150 tecniche a sinistra e a destra, il bersaglio il compagno di allenamento. Con pignoleria ad ognuno correggevo movenze, traiettorie. Molti di loro, dopo le prime lezioni tornarono sui loro passi, ne rimasero sei, che per tre volte a settimana partivano dal quartiere tiburtino e venivano all’Isola Sacra per seguire le mie lezioni. Dopo circa un anno, una sera accadde una cosa che da una parte mi fece felice e dall’altra mi fece riflettere sul nostro allenamento. Uno di loro dopo le prime tecniche a bersaglio disse: ha Mae! Prima di imparare i tuoi insegnamenti ci colpivamo con vemenza come facciamo da sempre e superavamo anche le 150 ripetizioni senza conseguenze, io non parlo solo per me ma a sentire i commenti durante il viaggio di ritorno, per tutti, la tecnica che facciamo è cambiata tanto che la sofferenza fisica è tale che dovremmo controllare la vemenza involontaria dei nostri colpi o rischiamo che per distrazione o stanchezza, di causarci traumi interni seri. Gratificato del miglioramento del loro fare, mi preoccupai della loro integrità fisica e cambiammo il modo di allenarci eseguendo le tecniche con un minimo di controllo. Sarei poco onesto dicendo che la nostra tecnica fosse diventata perfetta ma sicuramente era migliorata di molto e con l’aiuto del makiwara potevamo sempre mantenerla e migliorarla, con il controllo aumentammo le nostre capacità di consapevolezza e dell’autocontrollo. Ribadendo il tema iniziale, per come la vedo io, è vero, attualmente il Karate così detto ufficiale è una trasformazione annacquata del Karate originale, con lo scopo di permettere a tutti o quasi, di poterlo praticare ed imparare velocemente ma per un motivo etico ed onestà tecnica gli si dovrebbe cambiare il suo nome, perché “vendere” una cosa per un’altra si chiama raggiro, truffa. Quello che affermo è stato molto evidente quando famosi campioni, senza le regole limitanti, si sono confrontati in una imitazione riuscita di MMA, sembravano degli omaccioni rissosi che erano venuti alle mani per problemi di traffico, la tecnica con la “T” maiuscola era diventata una brutta rissa, per dare questi penosi spettacoli non sono necessari ore ed ore di studio, basta essere sufficientemente violenti. Come si dice: L’abito, ed io aggiungo, il cerimoniale, non fa il monaco. Riaffermando il concetto Karate-Do, massima efficienza, mutuo interesse, tutto il resto è un’altra cosa. Buon Karate a tutti.

18/09/21

M° Aurelio Bonafede

 

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