Alessandro Trolese

Tempo di Olimpiadi, brucia (o meno) non vedere il karate inserito nei giochi. Sono ormai passati circa 10 mesi da quando il karate, dopo la fugace apparizione come sport dimostrativo alle olmpiadi di Tokyo, è stato escluso dai giochi olmpici di Los Angeles 2028. Ennesima bruciante sconfitta per questa arte marziale: ma per i dirigenti, sia internazionali che nazionali, non è successo niente, continuano imperterriti con la loro politica di assurdo autolesionismo, incuranti di quanto accade in quello che dovrebbe essere il loro mondo. Dopo due brucianti debacle consecutive i dirigenti, di Wkf e Fijlkam settore karate, continuano ad occupare le relative massime poltrone esecutive (poi ci lamentiamo dei politici). Se le due organizzazioni fossero appartenute ad una multinazionale commerciale, i vertici saarebbero stati immediatamente sostituiti, ma così non è stato per entrambe le sigle. Probabilmente sulla decisione d’esclusione, da parte del CIO pesa la grande divisione mondiale del karate: da questo punto di vista la WKF ha fatto molto per il karate agonistico internazionale, mancando però di avere un contatto con le altre sigle internazionali, isolandosi in un arrogante comportamento del tipo “o con me o contro di me”. Una vera unione internazionale probabilmente sarebbe stata utile per rendere il karate uno sport olimpico. In Italia la Fijlkam ricalca perfettamente il comportamento di WKF, chiudendosi a riccio a difesa dei propri privilegi, ma non interessandosi assolutamente (o solo marginalmente) di tutti i praticanti che non fanno agonismo. Ma tralasciando l’aspetto tecnico, che ormai ha ceduto il passo a quello agonistico (del resto le Olimpiadi sono giochi sportivi), la Fijlkam niente ha fatto per unire ed invece molto ha fatto per dividere il mondo del karate nazionale. L’arroganza nello sbandierare di essere l’unica federazione di karate riconoscita dal Coni (vero), anziche giovarle le ha portato più danni che benefici, tant’è che, pur essendo la federazione più importante, rappresenta una minima parte del karate nazionale. La Fijlkam avrebbe dovuto essere la madre di tutti i praticanti, abbracciarli e coccolarli tutti, ma coì non è stato e le organizzazioni più disparate imperversano nel nostro paese. Questa poteva essere l’occasione giusta per un dialogo, per un confronto, per riunire tutti, o quasi, intorno ad un tavolo, nel principale ed esclusivo interesse del karate, agonistico e non; invece si è persa un’altra occasione, che poteva essere utile a tutti (non solo ai dirigenti ed alle loro poltrone).

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