Maurizio Di Stefano
Yamaguchi Gōgen, noto a livello popolare come “il gatto” per via di alcune sue attitudini peculiari sia nel pensiero che nel modo di muoversi, fu un personaggio eclettico e non privo di lati oscuri.
La sua passione per le arti marziali fu forse pari ai suoi interessi per il mondo dello sciamanesimo, del sovrannaturale e di quello che potremmo definire il paranormale.
In sostanza si autonominò caposcuola giapponese del Gōjūryū, creando una propria linea ben distinta da quelle portate avanti dai maestri di Okinawa.
Il successo riscosso in Occidente dal Gōjūryū che porta la sua impronta (parzialmente importato in Italia dal Maestro Evangelista, che tuttavia non completò mai, a quanto pare, il sistema, inventando poi dei Kata ulteriori e legandosi successivamente alla scuola di Yamamoto Gonnohyoe, dalla quale venne successivamente espulso – probabilmente il primo Maestro italiano a portare da noi la sua scuola fu Giancarlo Barbin, anch’egli poi in rapporti “complessi” con la casa madre giapponese guidata oggi da Saikō Shihan, ossia “Sommo Maestro”, Yamaguchi Gōshi), ha fatto sì che molti Maestri occidentali ritenessero la scuola di Yamaguchi come l’autentico Gōjūryū di matrice okinawense, pur non essendo ciò esatto.
Personalmente ho perfino sentito dire da alcuni che, stando alle loro conoscenze, il Gōjūryū fosse ormai estinto a Okinawa e che Yamaguchi fu il continuatore unico della scuola…
A Yamaguchi si devono comunque numerosi meriti, tra i quali l’aver formato in parte Ōyama Masutatsu e Peter Urban (quest’ultimo fondatore del controverso Goju USA).
Su Yamaguchi Gōgen ci sarebbe davvero tanto da dire, ma spesso la verità non piace.