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Eventskarate 31 marzo 2016

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Fabrizio Comparelli

Non solo geishe: il Giappone delle donne guerriero

 

La letteratura e, di rimando, la cinematografia ci hanno spesso proposto l’immagine della donna giapponese in qualità di geisha: un ruolo molto sovente travisato dagli occidentali, che hanno assimilato queste fanciulle all’equivalente nostrano delle prostitute d’alto bordo.

In realtà la geisha non trova nulla di simile nel mondo occidentale, ma non è di questo che intendo parlare in questo post, bensì della molto meno nota onna-bugeisha: la donna samurai.
Durante la travagliata era dei samurai, quello che è l’odierno Giappone era spesso scosso da violente guerre interne e rivolte; compito principale della donna era quello di badare alla casa durante l’assenza del marito samurai e, nell’accezione di “badare”, non rientravano soltanto la cura dei figli e l’amministrazione dei beni domestici, ma anche quello di vera e propria difesa della casa da ladri e invasori.

Cresciute secondo i valori dell’umiltà, dell’ubbidienza, dell’auto controllo e della lealtà, queste donne guerriere della classe samurai venivano anche addestrate nell’uso di una lunga arma chiamata naginata e di uno speciale coltello, il kaiken. Esperte nell’arte marziale chiamata Tantojutsu, una rapidissima quanto violenta lotta con i coltelli, queste combattenti venivano addestrate sin da giovanissime e diventavano samurai molto agili e veloci, capaci di avere la meglio anche contro avversari temibili come malviventi e ladri.

Pur appartenendo ad una delle classi sociali più elevate dell’antica società nipponica, le donne samurai erano comunque subordinate agli uomini; questo non impedì tuttavia il loro attivo impegno nelle battaglie: durante il periodo feudale furono molte le mogli, ma anche le vedove e le figlie più ribelli della classe bushi – quella dei samurai – a scendere in battaglia per difendere i possedimenti del loro signore ed il proprio onore. La onna-bugeisha era tenuta in grande considerazione nei villaggi e spesso considerata una vera e propria eroina che difendeva la popolazione laddove mancavano uomini combattenti, impegnati altrove in battaglia.

A metà strada tra storia e leggenda si trova l’Imperatrice Jingu, vissuta all’incirca tra il 169 e il 269 a.C., che si narra guidò l’invasione della Corea nel 200 a.C. come onna-bugeisha, dopo che il marito, l’Imperatore Chuai, venne ucciso in battaglia. Narra la leggenda che Jingu fosse tanto letale che riuscì a condurre l’esercito verso la conquista della Corea senza mai restare ferita in battaglia, senza versare neppure una goccia del proprio sangue. Sebbene la sua reale esistenza storica non sia ancora stata provata con certezza e i racconti delle sue gesta sfumino spesso nel mito, l’Imperatrice Jingu fu la prima donna il cui ritratto comparve stampato su una banconota giapponese.

Molti secoli dopo, sul finire del 1100, un’altra donna guerriera entrò di prepotenza nella travagliata storia del Giappone: Tomoe Gozen, moglie di Minamoto Yoshinaka, divenne famosa per la sua abilità con arco e frecce e per il suo indomito coraggio. Dai racconti Heike Monogatari (romanzo epico giapponese del XIV secolo, di autore anonimo, che riprende storie prima trasmesse oralmente, è basato sugli scontri che videro contrapposti i clan Taira – o Heike – e Minamoto), che narrano le gesta dei samurai nel corso della Guerra Genpei (1180 – 1185), la figura di Tomoe Gozen emerge con vigore: pelle chiara e lunghi capelli neri, questa donna samurai si lanciava in battaglia accanto al marito, cavalcando un cavallo bianco e dimostrando un’abilità guerriera e un coraggio del tutto equiparabili – quando non superiori – a quelli degli uomini.

Anche quando l’era dei samurai era ormai inesorabilmente tramontata, alcune donne guerriere entrarono nella storia del Giappone per il loro coraggio e per il senso dell’onore: più vicina ai giorni nostri è ad esempio Nakano Takeko, onna-bugeisha vissuta nel 1800 che, nel corso della Battaglia di Aizu (1868, una delle più cruente battaglie della Guerra Boshin), combattè con la naginata e venne messa a capo di uno speciale corpo d’assalto femminile “irregolare”, dal momento che il signore Aizu non permise loro di unirsi all’esercito regolare.
Mentre guidava un attacco contro l’Esercito Imperiale Giapponese venne colpita al petto da una pallottola e, pur di evitare che il nemico avesse la sua testa e potesse esibirla come trofeo, chiese a sua sorella Yuko di decapitarla e seppellirla; la sorella eseguì l’ordine e i resti di Nakano Takeko vennero sepolti presso il Tempio Hokai-ji, l’odierno Aizubange, dove venne in seguito eretto un monumento in memoria di questa donna guerriero.
Ancora oggi, nel corso dell’annuale Festival d’Autunno Aizu, un gruppo di giovani donne indossa l’hakama e cerchietti di stoffa bianchi, impugna la naginata e prende parte alla processione che ricorda le gesta di Nakano Takeko e del suo manipolo di indomite guerriere.

 

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